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di Daniel Longo

BOLOGNA – Nella cornice ad anfiteatro dell’Arena Parco Nord, a Bologna, si è conclusa la prima edizione italiana del Knotfest. La calda giornata di domenica scorsa, fin dalle prime ore pomeridiane, ha visto svariate band susseguirsi sul palco, tra cui i nomi noti agli appassionati del genere come Lorna Shore, Amon Amarth, Architects, solo per citarne alcuni. Ma, come si può intuire, la proposta musicale più attesa è stata proprio quella dei nove musicisti mascherati dell’Iowa, i quali per quasi un’ora e mezza ci hanno elettrizzato con una scaletta variegata, comprendente sia i più recenti pezzi del nuovo album “The End, So Far” uscito lo scorso anno, che i singoli più famosi come “Duality”, “Psychosocial”, “The Devil In I” e le rarità poco eseguite dal vivo dei primi dischi come “Purity”, “The Blister Exists”, “Snuff”. L’intensità della performance degli americani è stata quantomeno eguagliata dalla risposta emotiva del pubblico, 15 mila persone accorse da tutta Italia ma anche dall’estero per un’esperienza indimenticabile.
Il festival, come suggerisce il nome, è stato fondato dagli Slipknot, una tra le band metal di maggior successo degli ultimi vent’anni a livello globale. L’idea di creare un evento a tema è nata nel 2012, inizialmente pensato per il pubblico statunitense, ma successivamente esteso anche ad Asia, Sud America e, più recentemente, Europa. Oltre ai concerti, l’evento ha proposto anche un’interessante mostra, allestita in un tendone poco dopo l’ingresso principale: il Knotfest Museum, comprendente costumi, maschere, strumenti e addirittura premi (anche un Grammy Award) che la band del Midwest ha utilizzato e collezionato nel corso della sua carriera.

La band all’Arena di Bologna.

James Root & Mick Thomson

E due immagini del museo.

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In copertina,  il cantante Corey Taylor applaudito dai 15 mila fan accorsi all’Arena Parco Nord di Bologna.

(Foto di Daniel Longo)

 

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